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Il Racconto - prima parte
Partiamo da
casa con il brutto tempo, quelle mattine uggiose che vogliono farti rimpiangere
le coperte. Purtroppo per lui (il maltempo), io sono un testardo e con spirito
positivo vado lo stesso, consapevole del fatto che il peggio che possa capitare
è di concludere l’escursione in una piola prima ancora di cominciarla o di
trasformare la camminata in un raid automobilistico lungo le strade di montagna,
assaporando a bassa velocità il misterioso e intimo sapore della strada immersa
nelle nubi, del bosco appena immaginato, dei prati che svaniscono nel nulla.
Come previsto, arriviamo al rifugio immersi in una nebbia
fitta, con un cielo grigio e scuro che fa presagire una massa nuvolosa piuttosto
consistente; tuttavia considero che la Cristalliera è una cima elevata e
potrebbe “forare” le nubi, in quel caso lo spettacolo sarebbe ancora più
emozionante di quello che si può godere in una giornata limpida. Forse Lino non
ha mai sperimentato il “mare di nubi” da una vetta… Comunque siamo venuti fino a
qui, tanto vale provarci.
Non ho mai
salito la Cristalliera da questo versante e il sentiero non è di facile
individuazione perché la visibilità si riduce a pochi metri; decido quindi di
accodarmi al folto gruppetto di
escursionisti che
sta lasciando il parcheggio alla volta della nostra stessa cima, sfruttando il
vantaggio di non dover individuare il sentiero nella nebbia. Questo risale un
versante ripido zigzagando fino ad una spalla dove si biforca, appoggiandosi un
poco: io seguo fedelmente le calcagna delle mie guide occasionali, con le quali
ho anche avuto modo di attaccare bottone.
E’ strano il modo in
cui ci si rapporta agli altri in montagna, lo definirei terapeutico: ci si trova
tra perfetti sconosciuti come in ascensore o in coda alla cassa del
supermercato, eppure ci si saluta istintivamente e senza sforzo si inizia a
chiacchierare come se ci si conoscesse da tempo; si condivide spontaneamente
cibo e bevande, ci si aiuta volentieri nei tratti difficili e si dà conforto a
chi soffre la fatica … il tutto senza essersi mai visti prima, coscienti del
fatto che probabilmente non ci si rivedrà mai più
Il sentiero
principale, dicevo, va a destra in piano, ma la variante continua a salire per
un tratto prima di tagliare a mezza costa in direzione
del lontano rumore che si rivela, dopo alcuni saliscendi provenire da una
cascatella; la risaliamo per un canalino affrontando qualche passo esposto con
la chiara percezione di trovarci a perpendicolo sui ripidi pendii
sottostanti.
Raggiungiamo
una conca dominata da un laghetto, di cui vedo solo la sponda
più prossima a noi, guardando in alto però comincio a vedere i segnali che
aspettavo: il cielo si fa a tratti più chiaro, segno inequivocabile che tra poco
saremo fuori dalle nubi. Questo ci dà nuova energia per affrontare il resto
dell’ascensione, anche perché il pianoro termina presto e si trasforma in un
pendio sempre più ripido e roccioso che si appoggerà solo nei pressi del colle. Giunti qui con una buona dose di fiatone ci fermiamo un poco ad
ammirare gli enormi massi di serpentino rosso accatastati l’uno sull’altro e gli
alti torrioni rocciosi che si intravedono a destra nella nebbia che si dirada
sempre più. Il chiarore
mi dà ormai la certezza che la punta “buca” le nubi, ma non voglio indugiare
troppo, perché l’ora è tarda e di solito le nubi si elevano con il calore: ci
avviamo dunque per l’ultimo strappo per non rischiare di arrivare in cima e non
vedere più nulla.
Per sicurezza chiedo ancora una volta la strada, che si rivela
non essere quella più intuitiva e diretta, ma una traccia di ometti di pietre
che conduce in diagonale ad agganciare il sentiero ripidissimo che sale
dall’altra parte del colle. Ci troviamo in un canalone di
sfasciumi in cui è tanto facile quanto pericoloso smuovere pietre, la presenza
di numerosi escursionisti in fila come processionarie proprio sotto i nostri
piedi ci impone la massima cautela nel poggiare i piedi e caricare il peso;
do
uno dei miei bastoncini a Lino perché lo aiuti a mantenere l’equilibrio ben
saldo e proseguiamo lentamente verso le ultime rocce, arrivando ben presto nei
pressi della cima .
Qui le nubi
si aprono a tratti rivelando già la vetta del Malanotte ed il “mare” di nubi che
lo circonda; appena sbucato sulla cresta scatto una fotografia, prima di
poggiare piede sul piano: voglio documentare questa emozione in diretta, così
come l’ho vissuta, anzi prima di viverla personalmente.
Sulla cima
non c’è vento, fa quasi caldo e la vista è impagabile, resa ancora più
suggestiva dal mare di nubi che lascia solo le cime più alte a delimitare lo
spazio che ci circonda.
La croce è piuttosto alta e proprio mentre vi
passo davanti un “esperto” sta indicando ai suoi compagni tutti i monti
circostanti; approfitto in silenzio di questa inaspettata lezione di geografia e
scopro nomi di montagne che da qui hanno un aspetto irriconoscibile. Sono
felice, e anche Lino lo è, ci sediamo e mangiamo qualcosa…
Renato Fassino
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