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Superiamo, aggirandola, la chiesa di S. Abaco e riprendiamo a salire per il
ripidissimo sentiero che attacca subito dietro la spianata. Questo tratto è un
po’ difficoltoso perché il terreno è stato scavato dai passaggi e dalla pioggia
lasciando ovunque scomposti e ripidi canali svasi simili a grandi piste da
biglie; inoltre alla luce della torcia non si riesce a individuare la migliore
traiettoria e spesso ci si trova a dover usare le mani.
La mia attenzione si ferma sull’erba alta, illuminata dalla torcia, che
ondeggia al vento; poi mi accorgo che il pendio si appoggia gradualmente.
Stiamo per arrivare sulla spalla, dove c’è il traliccio, e sono le cinque.
Il paesaggio da qui è spettacolare, non solo per la posizione elevata che
permette una visuale di circa 270 gradi, ma soprattutto perché ci sono i primi
segnali dell’aurora, in direzione di Superga.
Acceleriamo il passo per raggiungere un buon posto dove sistemarci per le
riprese... accidenti ! qui il vento è furioso: faccio fatica a stare in piedi e
devo tenere con le mani il treppiede, altrimenti il vento me lo porta via !
Mi rannicchio nell’erba alta e preparo la fotocamera: 50 ASA, tempo 1 secondo
per cominciare, diaframma 11, autoscatto; provo a mettere a fuoco con gli occhi
che lacrimano per il vento. Anche Luca mi sembra a buon punto, lo intravedo a
una trentina di metri dal punto in cui mi trovo: ha trovato riparo dietro una
sorta di pozzo... aspettiamo, siamo ormai al buono.
La striscia di cielo nero, stretta tra la miriade di stelle tremolanti che
stanno sopra e la miriade di luci altrettanto tremolanti che stanno sotto, sta
lentamente prendendo colore. Sembra una ciclopica lastra di metallo nero che,
riscaldata da una fiamma invisibile, stia pian piano diventando incandescente.
Ho cercato un anfratto vicino ad un albero, che ho parzialmente compreso
nell’inquadratura e adesso comincio a vederne i rami nel mirino. E’ importante,
quando si fotografano paesaggi lontani, inserire nell’inquadratura un elemento
in primo piano per accentuare il senso della profondità.
Il colore dell’aurora non è ancora al suo massimo, ma io comincio a scattare
per non pensare al freddo e al vento, che si infila dappertutto, e alla mia
giacca che mostra i suoi limiti gonfiandosi come un pallone. Sono costretto a
premere il pulsante di scatto e poi tenere con due mani il treppiede (ecco a
cosa serve l’autoscatto) per evitare che la fotocamera sia mossa dal vento...
chissà se lì sotto si sta meglio...
Mi domando se laggiù c’è qualcuno che sta guardando il Musinè e se tra questi
qualcuno immagina due matti sbatacchiati dal vento... no, credo proprio che noi
due siamo gli unici a sapere che siamo qui. Piuttosto siamo noi a curiosare nel
sonno di tutte quelle persone che stanno là, sotto le luci tremolanti.
Nonostante il freddo sono appagato da quello che vedo... molti, troppi non
capiscono. In questi momenti ci si sente così vivi, la propria coscienza si
espande enormemente e una piena di emozioni inonda il cuore.
Ridendo e scherzando sono le sei passate e un tenue rosa si diffonde
dall’orizzonte tingendo il cielo d’oriente; Luca mi raggiunge e mi dice di
andare in punta se no l’alba ce la scordiamo.
OK, raccolgo l’attrezzatura e riparto anch’io.
Dopo qualche minuto di camminata, siamo ancora sulla spalla, mi fermo: è
incredibile, sto guardando il mondo attraverso un filtro colorato.
Il rosa pallido si è intensificato, mutando in un arancio carico che avvolge
tutto, cielo e terra. Forse questa volta ci perdiamo l’alba sulla cima, ma non
posso lasciar andare un momento simile: rimetto in sesto tutta la mercanzia e
riprendo a scattare... raramente ho visto colori così intensi in vita mia. La
distesa erbosa alla mia sinistra sembra un... boh! arancio su blu .
Mi sono perso il sorgere del sole sulla cima, ma ne è valsa la pena. Scatto
ancora un po’ di foto alla Sacra di S. Michele che cattura i primi raggi e poi
mi incammino verso il tratto finale.
Ripenso al traliccio dopo un po’ che l’ho passato: è davvero orribile.
Si tira una riga sulla cartina che, come un fendente, sfregia senza pietà
boschi, declivi, torrenti, valli, creste... opere d’arte maturate nell’arco di
milioni di anni.
Nonostante la bruttura il mio istinto creativo mi induce a fermarmi nel
tentativo di trovare un’inquadratura valida anche per questo “corpo
estraneo”... ci metto un po’ e poi scatto due fotografie, due di numero, poi
via, che mi sono già arrabbiato abbastanza. Mi capita ogni volta che salgo al
Musinè e ogni volta che lo osservo tornando a casa dopo il lavoro, al tramonto.
Ora la luce è già più intensa, il paesaggio verso Torino rivela a poco a poco
le nebbie di pianura e si riesce a distinguere nettamente dove termina la zona
interessata dal vento... è una scena davvero bella.
Il sentiero si riporta in cresta dopo il traliccio e poi piega per un tratto a
destra sotto un costone piuttosto marcato. Dopo un tratto a mezzacosta che
nasconde la vista della valle di Susa, si inerpica tra le rocce per l’ultimo
strappo.
Arriviamo in cima soddisfatti, ma in realtà il nostro è solo un gesto formale,
la tensione è calata, il momento magico è già passato e il panorama che si gode
dalla cima ha caratteristiche differenti dal misterioso fuoco cui abbiamo
assistito poche ore fa.
La croce di cemento alta 15 metri ci saluta severa e maestosa, e noi
proseguiamo ancora per qualche metro raggiungendo il punto più alto che si
trova poco oltre: riesco a vedere Valdellatorre e scorgo anche casa mia. Sembra
più vicina vista da qui, in mezzo alla vegetazione. Durante la nostra breve
permanenza riceviamo anche la gradita visita di un gatto che pare essere di
casa…
Ora si potrebbe scendere continuando per la cresta attraverso un sentiero che
conduce alla pista tagliafuoco, ma noi preferiamo ridiscendere dal percorso di
salita perché è divertente buttarsi giù di corsa per questi pendii fino a S.
Abaco.
Ricordo quella volta quando Massimo mi ha seguito su e giù per questa montagna
con un paio di mocassini... Alla fine erano completamente distrutti !
Quando arriviamo nuovamente al parcheggio, con le ginocchia molli per la corsa,
sono stanco e felice, come ogni volta. Anche Luca lo è, lo leggo nei suoi
occhi. Al di là del bottino fotografico questa salita dona qualcosa di più
profondo e prezioso.
E’ come se l’energia dispersa nella fatica venisse rimpiazzata da un’altra
energia che sta là fuori, in attesa di un viandante disposto a riceverla.
Penso proprio che Giuditta abbia ragione.
Novembre 2000
Renato Fassino
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